L’ALBERO DELLA VITA IN VIAGGIO.
CORSO "RAPPORTI GENITORI FIGLI".
QUINTA GIORNATA.
mercoledì delle Ceneri
CORSO "RAPPORTI GENITORI FIGLI".
QUINTA GIORNATA.
mercoledì delle Ceneri
"Ricordati che metastorico sei.... e metastorico ritornerai"
E così, tra neve e scongelamenti, per qualcuno anche del cuore,siamo giunti all’ultimo giorno di corso…
È difficile, con l’oceano che si muove impetuoso dentro di me, provare a raccontare questa giornata che è fine e inizio, che è fronte di passaggio di morte e rinascita per tanti di noi. Le tenebre ancora ci sono, e magari ci inoltriamo proprio nella parte più fitta, dove i sensi si perdono e tutto si fa puro affidamento… eppure la sensazione è di risucchio e di forte attrazione verso quell’oscurità che solo ci può far ri-sorgere dalle ceneri delle nostre esistenze frantumate e desertiche.
Oggi è anche mercoledì delle Ceneri, giorno che, secondo la tradizione cristiana, segna il passaggio nel tempo di Quaresima, un tempo in cui ognuno con la sua croce si avvia ad una morte di rinascita e resurrezione. È molto significativa per me questa coincidenza. Tanti di noi stanno vivendo un dolore antico, profondo, straziante. Sento però, nel raccoglimento silenzioso che avverto, che oggi di questo dolore ne iniziamo a recuperare un senso che non è più croce, peso, fardello, ma è, appunto, continuo ri-attraversare canali da parto per continue nascite e nuove fioriture. E allora, come ci accompagna a comprendere il caro Eliseo, ben vengano i quaranta giorni di quaresima, se, anche attraversandoli come passaggio doloroso, mettono fine ad una Quaresima che potrebbe durare in eterno senza neanche portarci ad una rinnovata esistenza. Questo “tempo forte” allora si fa tempo di crisi-opportunità per tornare alla nostra essenza originaria; dentro le ceneri della nostra vita possiamo riconoscere il roveto ardente della nostra identità, della nostra specificità, in cui le contraddizioni, gli opposti non tolgono vita ma ricollegandosi e danzando insieme nel progetto antenato della nostra gravidanza ci portano a ritrovarci più interi e armonici.
Oggi quindi, celebrando proprio il battesimo delle nostre esistenze che inizia a dar valore più alla nostra grandiosità e infinita potenzialità di rigenerazione che alla nostra caducità, potremmo dire “Ricordati che metastorico sei e metastorico ritornerai”.
Festeggiamo anche il compleanno della piccola Elisa, figlia di Gianni e Rosanna. A lei Mariano dona un pensiero profondo, una bellissima espressione danzante di Jasmina, augurandole di riuscire a sciogliere le catene che hanno avvolto il corpo di sua madre e di riuscire ad esprimersi con la libertà e l’armonia con cui Jasmina delizia e meraviglia tutti, grandi e piccoli. Mentre si svolge questo momento mi sorprende come Elisa si goda questa danza a bocca aperta, meravigliata e sognante come davanti ad una principessa che attraverso il corpo scioglie un incantesimo che aveva intrappolato e tenuto prigioniere le emozioni. Tutti cogliamo il valore e la dignità che alcune culture ancora danno al me.me. della danza come espressione di un nucleo profondo e intimo. Ringrazio Jasmina per aver incantato anche me.
È l’occasione per ringraziare anche Renato per la sua passione nel fare ricerca e custodire i me.me. di altre culture e tradizioni attraverso la musica. Attraverso lo spettacolo dei Barbapedana, importante come dono generoso e concreto per la Fondazione Nuova Specie, tanti di noi hanno potuto godersi una serata all’insegna della leggerezza e dei corpi sudati e caldi che hanno spontaneo piacere di stare vicini, unirsi nel fare festa e celebrare il godimento, i sensi, il piacere che è nel ritmo e nel suono, nella voce delle cose semplici. È un bel momento in cui due maschi adulti celebrano reciprocamente il loro valore e si riconoscono come viandanti segnati e sensibili…e con questa emozione si arriva anche al dono: Renato dona a Mariano il suo leggio; è un oggetto ma è anche un pezzo che suda la storia di Renato, che ha viaggiato con lui e che ha “letto” tanto di quest’uomo…così com’è, denso di significati e di esperienza, viene da lui donato a Mariano che, in questa nuova fase della sua vita, merita un nuovo e più ampio riconoscimento che passa anche attraverso qualche agio, qualche comodità in più…
È la volta di Maurizio che ci fa dono della propria commozione e delle proprie paure. Maurizio è un uomo di valore che però ha paura della propria meiosi. E allora, tra mille incertezze, meglio continuare a riporre la fiducia in una soluzione mitotica che ci illude o spingerci ad accettare una meiosi che ci fa star male per andare, però, incontro ad una nuova gravidanza? A noi la scelta…
L’Associazione alla Salute Lombardia ci invita ad una settimana, a metà marzo, di eventi molteplici in terra lombarda… prossimamente dettagli e programma…ma già sembra interessante
Tocca poi a Giulia e Gioele…è un bel momento, in cui, anche grazie alla distinzione in cui sono stati accompagnati in questi giorni, possono ritrovarsi di nuovo faccia a faccia…sono molto emozionati, lo sento, ma essendosi distinti un po’ di più ora possono anche esprimere il negativo con più forza, sentendosene più in diritto. Distinguendosi si fa un salto precipiziale e spesso nella coppia è proprio da qui, da questo piombare nel buio, che iniziano i cambiamenti interni ed esterni e si può iniziare a riconoscerseli e goderseli reciprocamente. Arriva anche uno schiaffo, un dono di Giulia a Gioele. Eh sì, perché non tutti hanno la fortuna di sentire, anche nel corpo, che l’altro è arrabbiato con noi… Mariano invita Gioele a “godersi” questo gesto e a sentirne il sapore facendosi attraversare dalle sensazioni… non è il caso di risalire con le parole… è un momento sacro per me, forte ma pieno di cor-aggio. Anche un evento apparentemente negativo, come ad esempio uno scontro fisico, può essere il nostro modo di abbandonare, di strapparci di dosso la “zona pellucida”, i resti della famiglia di origine o di una situazione che finora è andata bene ma che ora si è esaurita in cui siamo incatenati e ancora schiavi, per costruire legàmi totalmente nostri e specifici che non ci lègano ma ci intrecciano. Se non perdiamo questo contatto ancora troppo forte con la storia delle nostre famiglie d’origine non possiamo cogliere i punti di contatto con il laboratorio metastorico, quei punti che invece possono orientarci “all’altra faccia di Giano”, proprio quella che guarda avanti. Tutto, in questa prospettiva nuova, può nascere da un tradimento, da un abbandono, da una separazione. Pur essendo stati entrambi punto mitotico per l’altro in una situazione difficile che, sia Giulia che Gioele vivevano, ora è tempo di lasciarsi andare…non è detto che nel girovagare e nel proseguire il viaggio, ognuno verso se stessi, non ci si ri-incontri, magari su basi nuove…
In questa visione nuova la nascita diventa passaggio di morte: ad ogni tornante muore un ciclo vitale per dare inizio ad uno nuovo; si spegne l’interruttore di qualcosa che non serve più e si accende la luce per qualcosa di nuovo, inaspettato, inedito. Nel salto precipiziale, che ognuno di noi deve fare se vuole continuare il viaggio della gravidanza e non abortirsi-abortire, non abbiamo più nessuna garanzia. Ma è proprio questo salto che ci precipita nell’esistenza. Il salto precipiziale è una perdita ed è solo avendo perso che andiamo alla ricerca di nuove soluzioni per continuare il Viaggio.
Alla nascita non c’è più l’utero, la placenta, accompagnatori antenati intimamente devoti al viaggio della vita…questa volta ad accoglierci o non accoglierci c’è la membrana etno-culturale che è già formata prima della nostra nascita e che raccoglie il sapere di chi è venuto prima di noi. Si nasce quindi dopo aver attraversato il canale da parto, nella crisi, nell’angustus, nell’extra. Durante la gravidanza le tappe e i vari passaggi scorrono fluidi perché c’è un programma antenato organizzato. Nella vita a cielo aperto spesso dimentichiamo o ci facciamo spaventare dalla successione di tappe necessarie alla crescita.
A volte perdere delle figure storiche che ci hanno accompagnato, distinguerci, separarci ci fa sentire un senso profondo di sradicamento e di sofferenza proprio perché non abbiamo più la memoria dei passaggi, anche duri, che abbiamo già compiuto nella prima gravidanza che ci ha consegnati all’esistenza. In questa successione di tappe sono importanti i tempi, ogni tappa ha un inizio e una fine che ci consegna, seppur a volte con dolore, alla successiva. Se, infatti, il feto rimane otto-dieci giorni in più nell’utero, pur avendo già compiuto tutto il viaggio, muore: la vita ha i suoi tempi e per favorirla è necessario che torniamo a riappropriarci proprio di questo senso continuo di accolgo-spingo, espello, di vivo-lascio, abbandono, di mi fermo-riparto, di mi avvicino-mi separo. Solo così possiamo continuare il viaggio e non fermarci in comodi porti sicuri che prima o poi diventano privi di vita.
Ma alla nascita ci si arriva affrontando diverse prove…
La prima prova è la delusione che ci infligge mamma-utero: l’utero ai nove mesi ci delude, ci spinge fuori da un gioco illusorio. Come? Scacciandoci fuori attivamente! La nostra prima sofferenza è quindi da tradimento: l’utero, attraverso le contrazioni, ci tradisce. L’utero è il primo e più civile accompagnatore che incontriamo; quando è giunto il tempo di separarci per farci nascere, attraverso le contrazioni ci accompagna a separarci con determinazione; ama così tanto il feto che rinuncia a cose proprie per lui e per la sua vita. Nella vita poi, a molti di noi, da figli, tocca fare il percorso inverso e dover essere noi attivi per allontanare, “scacciare” i nostri genitori dalle nostre vite; spesso le nostre famiglie d’origine sono falsi uteri giacché, anche a volte in tarda età, non vogliono rinunciare al loro ruolo anche se si è abbondantemente esaurito o se a noi non serve più; un utero che non vuole smettere di fare l’utero non fa nascere ma, ahimè, spesso un utero ha bisogno di eterni-embrioni-feti proprio per sentirsi-replicarsi la propria identità…che incivilta!
La seconda prova è una sofferenza da angustus. Per nascere dobbiamo obbligatoriamente transitare da una situazione stretta, chiusa, opprimente. Il feto, al momento del parto, viene immesso in un ambiente stretto, che lo stringe e che gli è sconosciuto. Mentre finora ha vissuto dolcemente secondo il kairos ora incontra il kronos. Nel canale da parto iniziamo a pensare che c’è un kronos senza fine che ci può portare alla morte…è proprio in questo tratto che facciamo la prima esperienza di fede e speranza: “non vedo la fine, sono disperato perché immagino di andare verso la morte…e poi nasco”. È la prima forte esperienza di affidamento, in cui prendiamo consapevolezza del “ora non vedo ma…”.
L’ultima sofferenza è quella da “estraneo”: mi ritrovo a contatto obbligato con un ambiente che non ha niente a che vedere con quello da cui provengo. E con questo esterno-estraneo alla nascita siamo subito costretti ad instaurare un rapporto di totale dipendenza: se non dilatiamo i polmoni moriamo, siamo subito obbligati a prendere dall’esterno ciò che ricevevamo attraverso il cordone ombelicale; il primo vagito è il segno che questo passaggio è un passaggio traumatico, forte. Proprio però questa prima mancanza ci spinge ad aprirci e ad acquisire una competenza così vitale come la respirazione. Con l’entrata dell’aria e dell’ossigeno per la prima volta acquisisco inoltre lo strumento della voce che fa sentire anche a distanza che “io ci sono, esisto”. Questo è il secondo regalo della nascita che però passa attraverso una dipendenza totale dall’esterno. Altre mancanze però sente il neo-nato. Anche per nutrirsi perde lo strumento devoto del cordone ombelicale. Si instaura qui un’altra dipendenza: il seno materno diventa vitale per lui. Anche il calore svolge un ruolo importantissimo nei primi giorni di vita: nasciamo nudi e quindi siamo sensibilissimi alle variazioni di temperatura; il primo calore che possiamo offrire è il nostro corpo. Il corpo della madre, dei genitori dovrebbe subito entrare in relazione e “riscaldare” la nuova vita; un corpo che ci accoglie fa festa per noi, perché siamo nati, ci dice “che bello, sei nato-a, io sono il tuo utero, ti celebro, faccio festa per te”… Alla nascita dobbiamo abbandonare anche la placenta, la placenta continuamente ci vedeva, sentiva quello di cui avevamo bisogno ma quando nasciamo questo viene a mancare; inizia quindi la necessità di avere uno specchio esterno. Quello che sono non me lo posso dire da solo, ma io divento, mi rappresento tutto quello che tu mi fai sentire che sono, non quello che “serve a te” come spesso, ahimè, avviene nelle famiglie. Ma alla nascita il primo specchio che incontriamo non sempre è puro e fedele, spesso è incrostato di altro e riflette il modo di pensare, il sistema di valori che esiste al momento della mia nascita.
Festeggiamo anche il compleanno della piccola Elisa, figlia di Gianni e Rosanna. A lei Mariano dona un pensiero profondo, una bellissima espressione danzante di Jasmina, augurandole di riuscire a sciogliere le catene che hanno avvolto il corpo di sua madre e di riuscire ad esprimersi con la libertà e l’armonia con cui Jasmina delizia e meraviglia tutti, grandi e piccoli. Mentre si svolge questo momento mi sorprende come Elisa si goda questa danza a bocca aperta, meravigliata e sognante come davanti ad una principessa che attraverso il corpo scioglie un incantesimo che aveva intrappolato e tenuto prigioniere le emozioni. Tutti cogliamo il valore e la dignità che alcune culture ancora danno al me.me. della danza come espressione di un nucleo profondo e intimo. Ringrazio Jasmina per aver incantato anche me.
È l’occasione per ringraziare anche Renato per la sua passione nel fare ricerca e custodire i me.me. di altre culture e tradizioni attraverso la musica. Attraverso lo spettacolo dei Barbapedana, importante come dono generoso e concreto per la Fondazione Nuova Specie, tanti di noi hanno potuto godersi una serata all’insegna della leggerezza e dei corpi sudati e caldi che hanno spontaneo piacere di stare vicini, unirsi nel fare festa e celebrare il godimento, i sensi, il piacere che è nel ritmo e nel suono, nella voce delle cose semplici. È un bel momento in cui due maschi adulti celebrano reciprocamente il loro valore e si riconoscono come viandanti segnati e sensibili…e con questa emozione si arriva anche al dono: Renato dona a Mariano il suo leggio; è un oggetto ma è anche un pezzo che suda la storia di Renato, che ha viaggiato con lui e che ha “letto” tanto di quest’uomo…così com’è, denso di significati e di esperienza, viene da lui donato a Mariano che, in questa nuova fase della sua vita, merita un nuovo e più ampio riconoscimento che passa anche attraverso qualche agio, qualche comodità in più…
È la volta di Maurizio che ci fa dono della propria commozione e delle proprie paure. Maurizio è un uomo di valore che però ha paura della propria meiosi. E allora, tra mille incertezze, meglio continuare a riporre la fiducia in una soluzione mitotica che ci illude o spingerci ad accettare una meiosi che ci fa star male per andare, però, incontro ad una nuova gravidanza? A noi la scelta…
L’Associazione alla Salute Lombardia ci invita ad una settimana, a metà marzo, di eventi molteplici in terra lombarda… prossimamente dettagli e programma…ma già sembra interessante
Tocca poi a Giulia e Gioele…è un bel momento, in cui, anche grazie alla distinzione in cui sono stati accompagnati in questi giorni, possono ritrovarsi di nuovo faccia a faccia…sono molto emozionati, lo sento, ma essendosi distinti un po’ di più ora possono anche esprimere il negativo con più forza, sentendosene più in diritto. Distinguendosi si fa un salto precipiziale e spesso nella coppia è proprio da qui, da questo piombare nel buio, che iniziano i cambiamenti interni ed esterni e si può iniziare a riconoscerseli e goderseli reciprocamente. Arriva anche uno schiaffo, un dono di Giulia a Gioele. Eh sì, perché non tutti hanno la fortuna di sentire, anche nel corpo, che l’altro è arrabbiato con noi… Mariano invita Gioele a “godersi” questo gesto e a sentirne il sapore facendosi attraversare dalle sensazioni… non è il caso di risalire con le parole… è un momento sacro per me, forte ma pieno di cor-aggio. Anche un evento apparentemente negativo, come ad esempio uno scontro fisico, può essere il nostro modo di abbandonare, di strapparci di dosso la “zona pellucida”, i resti della famiglia di origine o di una situazione che finora è andata bene ma che ora si è esaurita in cui siamo incatenati e ancora schiavi, per costruire legàmi totalmente nostri e specifici che non ci lègano ma ci intrecciano. Se non perdiamo questo contatto ancora troppo forte con la storia delle nostre famiglie d’origine non possiamo cogliere i punti di contatto con il laboratorio metastorico, quei punti che invece possono orientarci “all’altra faccia di Giano”, proprio quella che guarda avanti. Tutto, in questa prospettiva nuova, può nascere da un tradimento, da un abbandono, da una separazione. Pur essendo stati entrambi punto mitotico per l’altro in una situazione difficile che, sia Giulia che Gioele vivevano, ora è tempo di lasciarsi andare…non è detto che nel girovagare e nel proseguire il viaggio, ognuno verso se stessi, non ci si ri-incontri, magari su basi nuove…
In questa visione nuova la nascita diventa passaggio di morte: ad ogni tornante muore un ciclo vitale per dare inizio ad uno nuovo; si spegne l’interruttore di qualcosa che non serve più e si accende la luce per qualcosa di nuovo, inaspettato, inedito. Nel salto precipiziale, che ognuno di noi deve fare se vuole continuare il viaggio della gravidanza e non abortirsi-abortire, non abbiamo più nessuna garanzia. Ma è proprio questo salto che ci precipita nell’esistenza. Il salto precipiziale è una perdita ed è solo avendo perso che andiamo alla ricerca di nuove soluzioni per continuare il Viaggio.
Alla nascita non c’è più l’utero, la placenta, accompagnatori antenati intimamente devoti al viaggio della vita…questa volta ad accoglierci o non accoglierci c’è la membrana etno-culturale che è già formata prima della nostra nascita e che raccoglie il sapere di chi è venuto prima di noi. Si nasce quindi dopo aver attraversato il canale da parto, nella crisi, nell’angustus, nell’extra. Durante la gravidanza le tappe e i vari passaggi scorrono fluidi perché c’è un programma antenato organizzato. Nella vita a cielo aperto spesso dimentichiamo o ci facciamo spaventare dalla successione di tappe necessarie alla crescita.
A volte perdere delle figure storiche che ci hanno accompagnato, distinguerci, separarci ci fa sentire un senso profondo di sradicamento e di sofferenza proprio perché non abbiamo più la memoria dei passaggi, anche duri, che abbiamo già compiuto nella prima gravidanza che ci ha consegnati all’esistenza. In questa successione di tappe sono importanti i tempi, ogni tappa ha un inizio e una fine che ci consegna, seppur a volte con dolore, alla successiva. Se, infatti, il feto rimane otto-dieci giorni in più nell’utero, pur avendo già compiuto tutto il viaggio, muore: la vita ha i suoi tempi e per favorirla è necessario che torniamo a riappropriarci proprio di questo senso continuo di accolgo-spingo, espello, di vivo-lascio, abbandono, di mi fermo-riparto, di mi avvicino-mi separo. Solo così possiamo continuare il viaggio e non fermarci in comodi porti sicuri che prima o poi diventano privi di vita.
Ma alla nascita ci si arriva affrontando diverse prove…
La prima prova è la delusione che ci infligge mamma-utero: l’utero ai nove mesi ci delude, ci spinge fuori da un gioco illusorio. Come? Scacciandoci fuori attivamente! La nostra prima sofferenza è quindi da tradimento: l’utero, attraverso le contrazioni, ci tradisce. L’utero è il primo e più civile accompagnatore che incontriamo; quando è giunto il tempo di separarci per farci nascere, attraverso le contrazioni ci accompagna a separarci con determinazione; ama così tanto il feto che rinuncia a cose proprie per lui e per la sua vita. Nella vita poi, a molti di noi, da figli, tocca fare il percorso inverso e dover essere noi attivi per allontanare, “scacciare” i nostri genitori dalle nostre vite; spesso le nostre famiglie d’origine sono falsi uteri giacché, anche a volte in tarda età, non vogliono rinunciare al loro ruolo anche se si è abbondantemente esaurito o se a noi non serve più; un utero che non vuole smettere di fare l’utero non fa nascere ma, ahimè, spesso un utero ha bisogno di eterni-embrioni-feti proprio per sentirsi-replicarsi la propria identità…che incivilta!
La seconda prova è una sofferenza da angustus. Per nascere dobbiamo obbligatoriamente transitare da una situazione stretta, chiusa, opprimente. Il feto, al momento del parto, viene immesso in un ambiente stretto, che lo stringe e che gli è sconosciuto. Mentre finora ha vissuto dolcemente secondo il kairos ora incontra il kronos. Nel canale da parto iniziamo a pensare che c’è un kronos senza fine che ci può portare alla morte…è proprio in questo tratto che facciamo la prima esperienza di fede e speranza: “non vedo la fine, sono disperato perché immagino di andare verso la morte…e poi nasco”. È la prima forte esperienza di affidamento, in cui prendiamo consapevolezza del “ora non vedo ma…”.
L’ultima sofferenza è quella da “estraneo”: mi ritrovo a contatto obbligato con un ambiente che non ha niente a che vedere con quello da cui provengo. E con questo esterno-estraneo alla nascita siamo subito costretti ad instaurare un rapporto di totale dipendenza: se non dilatiamo i polmoni moriamo, siamo subito obbligati a prendere dall’esterno ciò che ricevevamo attraverso il cordone ombelicale; il primo vagito è il segno che questo passaggio è un passaggio traumatico, forte. Proprio però questa prima mancanza ci spinge ad aprirci e ad acquisire una competenza così vitale come la respirazione. Con l’entrata dell’aria e dell’ossigeno per la prima volta acquisisco inoltre lo strumento della voce che fa sentire anche a distanza che “io ci sono, esisto”. Questo è il secondo regalo della nascita che però passa attraverso una dipendenza totale dall’esterno. Altre mancanze però sente il neo-nato. Anche per nutrirsi perde lo strumento devoto del cordone ombelicale. Si instaura qui un’altra dipendenza: il seno materno diventa vitale per lui. Anche il calore svolge un ruolo importantissimo nei primi giorni di vita: nasciamo nudi e quindi siamo sensibilissimi alle variazioni di temperatura; il primo calore che possiamo offrire è il nostro corpo. Il corpo della madre, dei genitori dovrebbe subito entrare in relazione e “riscaldare” la nuova vita; un corpo che ci accoglie fa festa per noi, perché siamo nati, ci dice “che bello, sei nato-a, io sono il tuo utero, ti celebro, faccio festa per te”… Alla nascita dobbiamo abbandonare anche la placenta, la placenta continuamente ci vedeva, sentiva quello di cui avevamo bisogno ma quando nasciamo questo viene a mancare; inizia quindi la necessità di avere uno specchio esterno. Quello che sono non me lo posso dire da solo, ma io divento, mi rappresento tutto quello che tu mi fai sentire che sono, non quello che “serve a te” come spesso, ahimè, avviene nelle famiglie. Ma alla nascita il primo specchio che incontriamo non sempre è puro e fedele, spesso è incrostato di altro e riflette il modo di pensare, il sistema di valori che esiste al momento della mia nascita.
Qui inizia il grande circuito del vedere:
SONO VISTO/A --> MI VEDO --> VEDO --> TI VEDO --> SEI VISTA/O
È qui e così precocemente che si pongono le basi del nostro riconoscerci-sentirci…
A questo punto Mariano ci lascia tutti a bocca aperta con una rilettura globale e profonda di tre saggezze antenate:
la stalla di Betlemme, il mito di Edipo Re e la favola di Pinocchio. È meraviglioso perdersi nel racconto-interpretazione degli intrecci familiari e nei rimandi continui alla storia della gravidanza che mettono in luce aspetti significativi e critici di quelle che dovrebbero essere una “famiglia-utero ideale” e due esempi di “famiglie-utero parziali”… ancora una volta godiamo di uno spettacolo grazie alla capacità di Mariano di riscoprire-cogliere il giusto valore di saperi ampiamente banalizzati.
Alla fine di questa giornata e di questo viaggio tra saperi antenati emerge sempre più chiaro il valore della gravidanza come griglia interpretativa e di lettura della realtà; è un sapere universale e sempre applicabile. Se ognuno di noi riuscisse a fare proprio il programma della gravidanza noi per primi potremmo intervenire nelle vite nostre e in quelle degli altri senza ricorrere agli specialisti ogni volta che la vita ci parla bloccandosi nel suo procedere. La teoria più universale è la gravidanza. Ma è una teoria “haggadah”, poiché, partendo dalla vita, ognuno di noi può aggiungere, arricchire, ampliare. È un sapere che pur avendo già visto, compreso e contemplato molto può sempre crescere.
La gravidanza è per eccellenza il tempio della Metastoria che originariamente si incarna nella Storia attraverso il grembo del Femminile. Ognuno di noi, riscoprendo il proprio femminile, può accompagnare la metastoria nel suo travaglio che oggi si esprime in una storia frantumata e a disagio che chiede a gran voce un salto in cui tutti possiamo transitare sempre più da ruoli storici a creativi e coraggiosi atti metastorici.
Ringrazio davvero profondamente Mariano per averci condotto in questa immersione meravigliosa nel ventre intimo della Vita. Auguro ad ognuno di noi che questo corso ci in-segni, “segni dentro”, l’incanto della gravidanza e che, da corso, si faccia occasione e inizio di un per-corso più adulto e uterino.
Mi piace concludere così:
“Non indicate per loro una via conosciuta ma se proprio volete insegnate soltanto la magia della Gravidanza”.
Traboccante di sensazioni e stupore,
Graziana
Cara Graziana, sono proprio contenta di aver affidato a te il Post di chiusura del Corso in Veneto... è meraviglioso! Leggerti è stata un'emozione continua, ad ogni parola.... Ti ringrazio per tutto ciò che hai saputo... sapientemente raccogliere e regalarci ancora.. grazie al tuo sforzo, considerando la stanchezza e gli eventi a cui hai partecipato subito dopo nelle Marche e in Romagna, ho potuto reimeggermi nella bellezza in cui Mariano ci ha fatto entrare e sicuramente molti che non erano presenti potranno coglierne tante sfumature. Ti voglio bene tanto
RispondiEliminaGrazie mille compagna sempre più vicina... L'immersione di questi giorni mi ha davvero segnata e ancora mi attraversa con forza... Sento che da questo corso molti di noi potranno rimettersi al lavoro per liquidare i residui "pellucidi" che ancora ci appesantiscono e fare un passo più definitivo al "guardare avanti"...
RispondiEliminaTi voglio tanto bene anche io e sono contenta che questa volta ci siamo state di più ;)
Grazie ancora,
Graziana.
Condivido l'entusiasmo di Giusy e mi sorprende che questo post aggiunge emozioni anche per chi c'è stato. Figurarsi per me che non ci sono stato per motivi familiari. Mi piacerebbe che se ne organizzasse un altro, dai post ho intravisto la bellezza e profondità del corso che mi sembra unico.
RispondiEliminaSpero che Mariano trovi il tempo ora che sta per andare in pensione.
Complimenti agli organizzatori del Grappa.
Giuseppe
è vero il post è traboccante e trasudante una raffinata rugida di teoria che riesce a perforare lo schermo e ci accompgana anche a distanza, noi che non abbiamo potuto esserci!grazie in ogni caso, e speriamo che al più presto ce ne sia... uno anche per noi. un bacio Amelia
RispondiElimina