Fondazione Nuova Specie ONLUS
Presidente: Dr. Mariano Loiacono




SETTIMANA INTENSIVA
AL CMS DI FOGGIA

Da lunedì 2 a venerdì 6 luglio 2012



Secondo giorno:
الموت موجود. تعذيب لماذا؟
("La Morte esiste, la tortura perché"?)



La morte è già insita nella vita, dal momento che nasciamo sappiamo che moriremo sicuramente. Ma allora la domanda è: 

“Se la morte esiste, la tortura perché”?

Questo quesito è un detto proprio dei Paesi arabi che Leila, la nostra amica tunisina, ha proposto come tema per la teoria globale di oggi, scelta da Giacomo.

Questo quesito esistenziale ha tormentato l’uomo da quando ha cominciato a sviluppare il suo codice analogico e ciò che scaturisce da esso: il senso della vita e del dolore che l’accompagna.

Le epistemologie religiosa, scientifica e filosofica ci hanno fornito delle risposte parziali. Le due culture dominanti del mondo, quella occidentale e quella orientale ci hanno risposto più o meno allo stesso modo: che si tratti di Cristianesimo o Islamismo, l’epistemologia religiosa dice che noi veniamo al mondo per soffrire e per meritare una vita migliore ed eterna nell’Aldilà. Tanto più accettiamo la sofferenza, tanto più saremo meritevoli di andare in Paradiso.

Questa convinzione è servita da contenimento e da controllo sulle nostre vite, ma ora nel mondo odierno senza più confini, sia geografici che mentali, non ci basta più. Infatti, quella di oggi è stata una giornata movimentata, all’insegna di dinamiche metastoriche libere dai freni inibitori del codice razionale.


Botte da orbi, carezze per l’anima – dinamiche con reazioni a catena

Si comincia subito con Bruno, che è stato torturato e ricattato per anni dal dolore di Meris. Bruno non ci sta più e violentemente col corpo e con le parole rifiuta di subire la sua morte perché non è lui che l’ha provocata, bensì i responsabili riguardano la famiglia d’origine. Meris ci sta nella dinamica e gli grida che ha cercato negli uomini un modo per “riequilibrarsi” dalle violenze subite, poiché il marito non riusciva a darle calore, comprensione e contatto fisico profondo.


Reazione a catena e processo a parti invertite nella dinamica tra Lina, Angelo e Salvatore dove emerge una donna esasperata da un marito-bambino, che cerca in lei rifugio per non sentire la sua morte e il vuoto di una incolmabile solitudine; infatti, Angelo ammette di aver trovato nella moglie una madre surrogato. Lina è costretta da una vita ad incarnare un ruolo che le sta stretto, quello di madre ferma e che detta regole in famiglia mascherando le carenze del coniuge. Angelo non svolge il suo ruolo di padre e non esprime il suo maschile; il risultato è una confusione di ruoli: Salvatore non riesce ad essere figlio, ma fa un po’ il padre, un po’ il marito. Lina non riesce ad essere solo la madre di Salvatore e la moglie di Angelo, ma è inglobata in questa confusione di ruoli. Dopo un primo tentativo di fuga, Angelo rimane dentro il nostro utero devoto grazie a un egregio accompagnamento da parte del gruppo.

Riesce ad affrontare in maniera adulta moglie e figlio e addirittura a passare dall’altra parte della barricata quando Davide e Giampiero, riconoscono in lui le caratteristiche del loro padre (assenza, debolezza, rinuncia). Angelo si fa da bersaglio, dando espressione al suo maschile per liberare Davide dal dolore della solitudine che non ancora riesce a riconoscere. Il nostro corpo è però incapace di disonestà: le fitte che Davide accusa e che lo inginocchiano per il dolore, sono sintomo di ciò che lui nega... e la tortura lo piega!

DIPENDENZE AFFETTIVE NEL RAPPORTO DI COPPIA – LEGAMI SIMBIOTICI DI MORTE

Nella relazione vogliamo annegare la nostra solitudine. Ecco perché ci coinvolgiamo tanto nell'amore: a volte è un modo di evitare te stesso. Non meraviglia che si brami tanto spasmodicamente, per tutta la vita, di tornare in quel luogo sicuro e protetto che è l’utero materno. Ma, per metterla in termini brutali, è un sogno infantile. Ed è sorprendente che ci si aggrappi a questo sogno tanto caparbiamente, malgrado ogni evidenza in contrario. Cerchiamo di riempire la nostra paura dell’abbandono con l’aspettativa che qualcuno si prenderà cura di noi, cerchiamo di colmare la paura di essere invasi aspettandoci che gli altri rispettino i nostri confini. Ma nel momento in cui ci aspettiamo qualcosa da qualcuno, non importa quanto ciò sia ragionevole, non stiamo vedendo quella persona così com’è: stiamo sperando o pretendendo che sia come noi vogliamo che sia.

Nessuno, che sia il tuo compagno o la tua compagna attuale, o un partner che sogni per il futuro, ha l'obbligo di consegnarti su un piatto d'argento la tua felicità - né potrebbe, anche se lo volesse. Il VERO AMORE è frutto non del tentativo di soddisfare il nostro bisogno creando una dipendenza da un altro, bensì dello sviluppo della nostra ricchezza interiore e della nostra maturità.

L’ultima dinamica scaturita avviene fra Nadia e Luigi: la sorella cerca di far emergere le verità nascoste di suo fratello e che rendono entrambi inchiodati ad una tortura permanente. Lei acquista coraggio nel voler fronteggiare il dolore a viso scoperto, ma il fratello non ancora è pronto nell’accompagnarla in questa impresa.

Anche nelle immersioni è emerso il tema della morte che già viviamo in vita e che come catene del karma si tramandano di generazione in generazione se non c’è un eroe che le spezza. Da vittime diventiamo carnefici, da torturati a torturatori.

Scoprire il dono nascosto in ogni ferita

“Perché io? Perché questo? Perché adesso”? Chi di noi non si è trovato in tempi difficili a cercare una risposta a queste domande? Ci interroghiamo, interroghiamo la Vita, ci scagliamo contro Dio. E le risposte che riceviamo sono vaghi e generici palliativi che non riescono a lenire la nostra frustrazione tanto che poi il nostro dolore sembra vuoto, impersonale, assurdo. La Morte esiste, ma che senso ha la tortura, quello stillicidio giornaliero che ci rinchiude nella più buia detenzione? Innanzitutto, è bene capire una volta per tutte che la tortura (dal latino “torquere” che significa “torcere”, “piegare le membra”) cela in sé un risvolto positivo se abbiamo il coraggio di farci piegare.  La tortura ti sfida a essere coraggioso a sufficienza per assumerti la responsabilità di ciò che sei e per vivere in funzione della tua verità.

Le ferite che tale tortura comporta, sono componenti inevitabili e necessari dell’esperienza umana, una copiosa fonte di insegnamenti, di comprensione e di crescita.

Che effetti ha la mia ferita su di me? In che modo mi spinge a crescere,a espandermi, ad ampliare la mia consapevolezza? Che cosa sta facendo per aiutarmi a superare i miei difetti caratteriali e a liberarmi dalle illusioni”?… questo dovremmo chiederci! È saggio aver fiducia nei tempi e nei metodi scelti dall’anima. Molto di ciò che attribuiamo al caso e alla coincidenza in realtà è sottilmente opera dell’anima. Possiamo pregare di avere la forza di non resistere al suo insegnamento,  perché ogniqualvolta facciamo resistenza nell’affrontare i nostri difetti caratteriali,questi non scompaiono bensì peggiorano. 



Sforzarsi sempre di scorgere il dono contenuto nelle avversità

Ogni problema è un compito assegnatoci dalla nostra anima. Dobbiamo perciò comprendere che i nostri problemi, che si tratti di un’infermità o altro, servono tutti uno scopo, ossia cercare ciò che essi tentano di insegnarci. L’importante è credere che ci sia sempre un dono nascosto sotto la m***… chiaro, no? Nulla accade a caso e noi attiriamo o respingiamo le esperienze che dovrebbero portarci a comprendere meglio noi stessi e lo scopo della nostra vita: essa si muove a spirale e certe situazioni irrisolte si ripresentano nel nostro destino.


Avversità come paura di cambiare

Avversità e cambiamento sono così inestricabilmente legati fra loro che tendiamo a misurare la gravità di qualsiasi problema dal grado di cambiamento che esso richiede. Definiamo noi stessi attraverso le condizioni e le circostanze della nostra vita quotidiana e facciamo resistenza al loro cambiamento per un timore del tutto primordiale di perdere la nostra identità. Tuttavia il cambiamento è necessario a ogni forma di vita, anzi è l’essenza stessa del vivere. Quando la vita è bloccata ci costringe a cambiare, le avversità ci ridestano, ci scuotono dalle vecchie abitudini, ci stimolano e ci obbligano a risvegliare o a sviluppare parti di noi finora inutilizzate. Dunque le avversità sono rivitalizzanti o devitalizzanti? Possono essere entrambe le cose: dipende da come ci approcciamo a questi momenti di crescita. Qualsiasi emergenza stimola imperiosamente le nostre qualità e capacità umane più metastoriche.

Chiudiamo il post con un’ aforisma che ci sia d’augurio per le nostre vite…

“Sii il tuo miracolo, diventa ciò che sei”.
GANDHI

Silvia e Rita