FONDAZIONE NUOVA SPECIE ONLUS
Registro Persone giuridiche n. 429
Prefettura di Foggia
RACCONTO A QUATTRO MANI
DI UN VIAGGIO METASTORICO
CHE SEGNA LA SCONFITTA
DEL SAPERE PSICHIATRICO
RISPETTO AL
NOSTRO SAPERE EMOTIVO.
Chiusura di un cerchio
rimasto aperto cinque anni.
Questo breve racconto lo voglio postare perché racchiude un ciclo di morte-vita durato dal lontano 1990 con l'inizio della mia tossicodipendenza,non che oggi sia chissà che, ma per lo meno dal 2008 a oggi le cose o gli aspetti più interiori sono migliorati.
Il 2008 per me è stato un anno dove ho assaporato la morte sia in senso fisico che in senso di abbandono, purtroppo, o per fortuna, il lazzo mi si è stretto al collo,non vedevo più niente, tutto era indifferente,i comandi del cervello non connettevano più, ero allo sbando e all’abbandono, niente e nessuno sembrava che mi poteva aiutare, scuotimenti continui avvenivano dentro di me.
Dopo una disintossicazione sudata, in un’ala psichiatrica dell’ospedale di Torrette di Ancona, sono riuscito a togliere delle ragnatele, le incrostazioni erano spesse e, uscito dall’ospedale, sapevo che mi aspettava la comunità per sei mesi (che tutto sommato è l’unica comunità ad avere un percorso cosi corto).
Insomma per me i sei mesi erano anni non ho mai voluto sottostare a regole datemi e inventate da persone o istituzioni, quindi l’approccio mi si prospettava alquanto difficile.
La scelta di andare in comunità non è partita da me, ho accettato la proposta sia perché non avevo alternative, ma anche per mantenere un equilibrio con la mia fidanzata, adesso attuale moglie.
La prima lacerazione è avvenuta entrando in comunità, ero io solo con dei sconosciuti e senza i miei famigliari.
Quel mese e mezzo è stato un inferno tutte le notti sognavo i spacciatori e di giorno ero accerchiato da persone con il mio stesso problema dove il dialogo era come quello dei sogni, era una sofferenza continua,dovevo chiudere il ciclo,mi dovevo riposare e non avevo gli strumenti per farlo.
Tutta la vita mi sono affidato a questi dottori, hanno studiato quindi sanno quello che fanno e affidarmi e la cosa migliore visto che devo rimanere in comunità.
I giorni a seguire interviene lo psichiatra dell’asl della comunità che inizia a prescrivere dei farmaci ,a distanza di tempo vengo a sapere che un farmaco serve per la schizofrenia l’altro per la depressione l’altro è uno stabilizzatore d’umore e infine uno per dormire; si può immagine come stavo,d'altronde mi dovevano contenere!
I giorni passavano e la percezione che qualcosa avvenisse era ormai svanita, mi dovevo inventare delle cose da fare per non morire la dentro, la mia irrequietudine mi portava a non rispettare le regole, facevo il gallo al mattino affacciato dalla finestra della camera, non rispettavo gli orari, non obbedivo ai superiori,praticamente non riuscivo a stare fermo, nonostante prendessi quel cocktail di farmaci.
Per i dottori ero diventato un peso non sapevano più che pesci prendere l’unico contenimento che conoscevano era quello dei farmaci.
Da li a poco, una domenica dove tutti si spallano, io mi sento attratto da dei suoni di tamburi, mi allontano dalla comunità e scavallo una collina: li mi trovo dei rifugiati politici con un insegnante di musica, dico io! I rifugiati politici hanno un insegnante, mentre noi ci dobbiamo spallare tutto il giorno, mah… il ragazzo nero mi fa un gesto per avvicinarmi, mi avvicino con timore e inizio a suonare queste grandi botti di ferro, una meraviglia un’ora passata con spensieratezza, mi ero dimenticato di quello per cui ero lì .
L’indomani ho dato motivo ai dottori di farmi allontanare dalla comunità, praticamente la scusa è stata: "ci dispiace ma noi non sappiamo che fare con te,non va bene che non rispetti le regole che esci dalla comunità ecc."
Quello è stato uno dei momenti più belli e importanti della mia vita, mi stavano cacciando dalla comunità!
Niente viene per caso... o almeno credo... credo di essermela cercata questa fuga, anche perché quella era l’unica modalità che io conoscevo e poi dopo tanti anni di soluzioni, non mi sembrava giusto essere abbattuto da dei psicofarmaci.
Oggi sono quasi 5 anni che non faccio uso ne di droghe e ne di alcol e questo lo devo a Mariano e alla Valentina che a suo tempo è riuscita a prendere la decisione di lasciarmi.
Sicuramente l'esperienza a foggia è capitata in un momento favorevole ma favorevole sono le persone che gestiscono il centro, le persone che circolano all’ interno del centro e soprattutto la metodologia e l’approccio.
Il Metodo alla Salute non serve solo a riorganizzare l’aspetto lavorativo ma tende a fare evolvere la persona e a farla ripartire dove ci si è bloccati. In questi 5 anni di Metodo alla Salute ho sempre avuto la delusione, l’incazzatura e la rabbia nei confronti di chi aveva fatto delle diagnosi nei miei confronti e che mi aveva abusato con i farmaci. Avete presente le ingiustizie e l’incapacità nel controbattere?! Quello provavo.
Oggi potevo essere a letto di qualche ospedale solo perché, per definire una persona che ha fatto uso di stupefacenti è irrequieto ho dei sbalzi di umore, ma fatemi il piacere, io capisco che il termine racchiude il significato, ma rimane sempre il fatto che sono diagnosi superficiali.
La rabbia e la mia ricerca storica mi spinge a chiedere la cartella clinica del periodo in cui ho soggiornato nella comunità volevo vederci più chiaro rispetto a queste diagnosi, il dolore e la scottatura era alta.
Nel 2012 faccio la mia prima richiesta, chiaramente non viene accolta, lascio perdere perché la paura è ancora tanta, ma riprovo con una mail il gennaio del 2013, la risposta loro è stata che erano passati tanti anni e che avrebbero dovuto ricercare la pratica nel archivio fuori della comunità, mi è iniziata a puzzare credevo che stessero nascondendo qualcosa.
Ad Aprile mi faccio coraggio telefono all’asl di zona parlo con il direttore e gli espongo il mio problema, lui mi risponde semplicemente che devo spedirgli una raccomandata che poi loro la faranno avere alla comunità, bene!
Ci sono trenta giorni disponibili, in quei trenta giorni ricevo una telefonata era il mio psicoterapeuta che mi ha fatto delle domande riguardo ha cosa mi poteva interessare la mia cartella clinica, ("cazzo è la mia cartella clinica"), comunque mi dice che lui si ricorda e che mi avrebbe scritto una relazione a distanza di cinque anni .
Mah!
La telefonata continua con molto garbo e gli spiego che per me è fondamentale, siccome la mia vita è stata sempre frammentaria quella cartella clinica era uno dei puzzle mancanti... non so come ma mi sono ritrovato con un invito nella comunità.
Cristian
Everybody hurts - "tutti soffrono".
Sono un po’ agitata, siamo in macchina e ci stiamo avvicinando alla comunità, sono passati 5 anni dall’ultima volta che sono stata qui… stavo male, malissimo e soffrivo tanto e non vedevo una via d’uscita dalle stanze buie che stavo percorrendo…
Alla radio inizia "Everybody hurts" (trad.: tutti soffrono) dei REM che non ascoltavo da anni… io mi sciolgo e faccio salire le emozioni fino alla gola, escono lacrime dagli occhi ma non è ancora tempo di lasciarsi andare completamente sono in missione metastorica con Cristian ed Ester e il nostro obiettivo si stà avvicinando, nel frattempo i REM mi accompagnano e riesco a rilassarmi e a vivermi il groviglio che ho in pancia…
Quando il giorno e lungo e la notte, la notte e solo tua,
Quando sei sicuro che ne hai avuto abbastanza
di questa vita, resisti
Non lasciarti andare, tutti piangono e tutti soffrono a volte
A volte tutto è sbagliato. Ora è tempo di cantare insieme
Quando il tuo giorno è notte, solo (resisti,resisti)
Se ti senti come se stessi andando via (resisti,resisti)
quando pensi di averne avuto abbastanza di questa vita,resisti
Tutti soffrono. Trova consolazione nei tuoi amici
Tutti soffrono. Non rovesciare la tua mano. Oh no.
Non rovesciare la tua mano
Se senti di essere solo, no, no, no, non sei solo
Se sei solo in questa vita, i giorni e le notti sono lunghe.
Quando pensi di averne avuto abbastanza
di questa vita da resistere
Beh, tutti soffrono a volte.
Tutti piangono e tutti soffrono a volte.
E tutti soffrono a volte. Allora, resisti,resisti,
Resisti. Resisti. Resisti. Resisti. Resisti.
(Tutti soffrono,non sei solo)
Quanto cazzo ho resistito… non ne potevo più… questa canzone è la fotografia della mia vita di allora.
Entriamo dal cancello e percorriamo il viale alberato che ci porta alla comunità dove cinque anni fa Cristian è stato ricoverato per una forte dipendenza da cocaina e alcol, abbiamo appuntamento con lo psicoterapeuta che lo seguiva e che si relazionava con me che stavo dall’altra parte… a casa ad aspettare che tutto si risolvesse per il meglio… poi è stato così ma in circostanze ben diverse e non nel contesto di questo posto.
Mi guardo intorno, sembra più carino, le casette hanno tetti nuovi e tutto è un po’ più curato… che sia cambiato qualcosa?
Mentre scarichiamo la piccola Ester dalla macchina ( lei in questo posto non è mai venuta ha appena venti mesi) intravedo i responsabili della comunità che ci stanno già aspettando. Ci accolgono molto gentili e lo Psicoterapeuta, Gianfranco, che seguiva Cristian, ci accompagna nel suo ufficio ignaro delle dinamica metastorica che noi già iniziamo a viverci.
Ester sembra aver capito ed è calmissima e si comporta benissimo.
Cristian apre le danze con un pensiero: un getto dell’agave che si era portato dalla comunità ben cinque anni prima, in regalo al suo psicoterapeuta di allora che rimane sbalordito: Orazi Cristian… quello squilibrato di Orazi Cristian mi porta un dono così significativo!? E aggiunge che lì in comunità tutte le piante d’agave erano morte e non ne era rimasta nemmeno una… era quindi contento di questo dono.
Cristian continua a raccontarsi, lo vedo emozionato ma sicuro di sé, Gianfranco lo ascolta attentamente anche se ogni tanto il telefono squilla o qualcuno entra nella stanza senza chiedere permesso. Lui si prende una pausa, riprende senza perdersi e senza perdere il filo conduttore, il suo collegamento con il suo vissuto profondo.
"Caro Cristian, ti ho visto pescare negli angoli più neri della tua anima, ti ho visto che, sapientemente, come un sub, prendevi e tornavi in superficie e in modo distinto e globale, comprendendo anche l’altro ,ti sei raccontato, nel positivo e nel negativo senza avere paura o bloccarti davanti a ruoli preconfezionati.
Hai riconsegnato ciò che loro ti avevano appiccicato per mancanza di competenze vicine alla vita e li hai anche fatto vedere l’immensita della vita al di fuori dello stagnetto della comunità.
Gli hai fatto vedere come loro si fossero attaccati soltanto alle regole, al potenziamento di un’angolo alfa dettato dall’esterno di cui ti dovevi convincere, a proibizioni e gerarchie sia fra i ricoverati che fra paziente e dottore, al contenimento farmacologico ( lyrica, zyprexa, efexor, tavor e chi più ne ha più ne metta) e al servirsi della paura e a far credere alla “malattia” che non ti lascerà mai ( che sarebbe la dipendenza/soluzione) che si manifesta in un potente craving ( che sarebbe il richiamo della dipendenza ) e alle opere di convincimento attuate solamente con il codice simbolico/ razionale chiamato percorso motivazionale
Io sono rimasta affascinata e toccata dal suo intervento e , quando mi passa la palla approfitto per esprimere anch’io il negativo subito da loro.
Racconto a Gianfranco come mi sono sentita per niente accompagnata in questo percorso, per come loro non abbiano per niente tenuto conto della sofferenza di una compagna arrivata allo stremo con tutti i suoi nodi e buchi che l’hanno portata a scegliersi questa vita, lui dice che si chiama "co-dipendenza" ma ha dato solo un titolo, ha fatto sapere che sà di cosa si tratta ma ai tempi non ne è stato tenuto conto.
Ho raccontato di come mi sono sentita sola e disperata quando durante un colloquio telefonico Gianfranco mi comunica che purtroppo è venuto fuori che, oltre alla dipendenza,Cristian aveva dei problemi ben più gravi che si riassumevano in un inizio di schizofrenia, disturbi del comportamento e sbalzi d’umore.
Mi ricordo ancora che ero al lavoro nel mio laboratorio in mezzo a lastre lunghe quasi due metri che da sola cercavo di infornare per far fronte ai problemi economici che si erano creati.
Il filo liso che ancora mi teneva collegata alla vita stava per spezzarsi a questa notizia… però ho resistito… resisti … resisti… come nella canzone…
Poi ho raccontato di come mi sono sentita immediatamente accolta per la mia sofferenza e la mia specificità al di là di essere la compagna di Cristian al Metodo alla Salute e in primis da Mariano che mi ha fatto sedere in braccio e mi ha accolto con la sua ironia/teoria da subito appena mi ha vista. Di come anche lo Psichiatra che ha ideato il Metodo si mette per primo in discussione facendo lui per primo.
Di come tutti possono beneficiare di questo metodo a partire dal sintomatico,all’asintomatico... studenti, alcolisti, tossici, casalinghe, ingegneri, dottori, psicoterapeuti, cosiddetti "psicotici", bambini, vecchietti… insomma tutti, perché tutti soffrono, “everybody hurts”, e tutti hanno bisogno.
Di come Cristian fosse una persona estremamente socievole e bisognosa di contatto umano, di essere toccato e coccolato e che questo è stato il primo vero contenimento non farmacologico avvenuto al Metodo alla salute.
Gianfranco è molto incuriosito e interessato al Metodo alla salute e soprattutto al CMS ("ma veramente fanno queste cose all’interno di un’ azienda sanitaria statale?!") , si appunta l’indirizzo del sito, anche se ogni tanto cerca di difendere la sua posizione : “anche noi facciamo questo e quello”, “mi sembra di sentire le stesse cose che dicono le persone che finiscono il programma qui da noi”, ecc.
Poi la palla passa a lui e ci sorprende: Gianfranco racconta delle sue difficoltà nel gestire Cristian, delle difficoltà di contenimento, noi lo accogliamo molto, a me sembra di vedere davanti a me non più lo psicoterapeuta della comunità che ci ha fatto stare male ma vedo un ragazzo giovane come noi, con bambini piccoli, con i suoi limiti e carenza di competenze valide per situazioni difficili, lui si emoziona e piange… Ester si accuccia e lo guarda affascinata… stavamo quasi quasi per alzarci per abbracciarlo… ma lui emerge e riprende il ruolo parlando di craving e altre terminologie statiche, rigide. Dice: “questo si chiama percorso motivazionale”, questo si chiama co-dipendenza”, questo si chiama craving”, senza lasciare un’apertura da dire magari noi questo fenomeno vivo lo chiamiamo così…
Cristian chiude il cerchio prendendosi anche le proprie responsabilità rispetto alla difficoltà di stare nel contesto comunitario del tempo non ancora favorevole per lui e accogliendo le difficoltà di chi stà dall’altra parte. Di come ci vogliono strumenti dinamici e molteplici, una rete di persone , il kairos , persone disponibili a cogliere il kairos.
pensiero;
comunicazioni;
immersioni;
fondo comune.
Facciamo una passeggiata nel grande terreno della comunità, ormai Gianfranco è uno di noi, ci sentiamo vicini, scherziamo e ridiamo anche sulle vicissitudini passate cinque anni fa… di Cristian che costruiva continuamente delle strutture con le canne di bambù che andava a tagliarsi nel canneto, di quando alla mattina cantava come il gallo “chicchirichì” e svegliava a tutti, di quando era scappato a suonare i tamburi con gli esulati politici della comunità d’asilo confinante… Le sue continue richieste di colloqui con il suo Psicoterapeuta…
Gianfranco dice che il problema non era tanto quello che faceva Cristian, ma il fatto che non smetteva quando gli si chiedeva di non farlo più.
E’ normale che in una struttura così rigida possa aver spaventato tanto un'enzima così dinamico e ingestibile, tanto da contenerlo con gli psicofarmaci antipsicotici, antidepressivi, ansiolitici…
Questa è la povertà delle istituzioni che non hanno e non vogliono acquisire le competenze necessarie per leggere, gestire e, soprattutto, mettere in dinamica questo potenziale metastorico.
Siamo invitati a pranzo al “tavolo dei dottori”, dove l’acqua viene servita con i guanti come fosse vino d’annata e dove i ricoverati danno del lei ai dottori….
Quando ci salutiamo è di nuovo Gianfranco ad emozionarsi… qualcosa deve averlo colpito nel profondo, il viso e scalfito e le lacrime sono facili…
Noi tre, Ester, Cristian ed io ripartiamo alleggeriti ma ancora immersi nella dinamica che così inaspettatamente ci ha regalato la giornata.
Valentina